Che dire…
Ho tanti dubbi che
sceglierne uno è impossibile.
Ho dubbi complessi e dubbi
semplici.
Dubbi che sembrano
immobilizzarmi e dubbi che mi stimolano.
Fra queste due tipologie
preferisco la seconda…!
Due tipologie di dubbio
sono già 4 strade che si incrociano. Che, a volte, ti “mettono in
croce”.
Lo suggerisce l’etimologia
della parola: sembra che nella maggior parte delle lingue antiche il
termine indicante un’incertezza, comprenda la radice “due”.
Dunque il dubbio è un’ambivalenza non necessariamente giusta o
sbagliata.
In greco antico invece,
dubbio è generalmente tradotto con aporia (problema pressoché
irrisolvibile-amen). Da qui nasce il pensiero moderno occidentale.
Pensiero che ci informa,
grazie alle nuove tecnologie, che dietro alle scelte c’è
l’istinto, mentre la ragione viene dopo. Forse, per questo, Aporia,
adesso, è il nome dato a una farfalla.
Ma allora a che serve il
lavoro di millenni? Appena l’uomo diventa conscio di poter
discernere, ecco che sembra dover accettare la primitiva schiavitù
all’istinto. La propria “animalità”. Che ne è più dell’Homo
faber?
Per questo prendo la
licenza di riassumere tutto ciò in un unico grande dilemma che è la
cosa che più mi perseguita in quanto artista.
Posto che essere artista è
per me irrinunciabile poiché non è solo una scelta ma una
condizione, ciononostante ogni giorno mi chiedo se vale la pena.
Se, guardandomi attorno,
vale la pena lavorare in una realtà che proprio si ostina a non
cambiare mai molto. Almeno in profondità.
Mi chiedo se il mio è un
problema reale o un atteggiamento di edonismo. D'altronde pochi
artisti non ne soffrono…
Perché, poi, vedere
nell’arte una natura salvifica?
Basta il piacere di poter
creare.
Ma il quesito di Minskin
mi ossessiona: “la bellezza salverà il mondo?” Si direbbe di no,
ma sono sicura che senza questo grande dubbio essere artista sarebbe
per me un peso gigantesco o una inutilità assoluta.
Allora rimango col mio
dubbio e vado avanti.
Se la bellezza non salverà
il mondo, mi rispondo, sarà almeno la tensione verso questa bellezza
profonda che potrà evitare di oscurarlo del tutto. Con la
consolazione che solo l’uomo può plasmare consapevolmente la
creatività.
Un’ eredità da salvare
e tutelare.
Allora il mio dubbio
diventa il giusto solletico che mi incita a procedere senza la
presunzione di pensare che sarà la mia opera a trasformare qualcosa.
Mi basta essere uno dei
tanti nodi in una maglia che filtra il succo dalla dura polpa delle
cose.
Uscita dalla mitica
caverna, so che luci e ombre fanno parte di noi e che non sempre il
bagliore può rischiarare la nostra oscurità.
Per
il resto, vivo sulla soglia di quel buco misterioso che aprì ad
Alice la fantasia e diede a Fontana l’immensità nella semplicità.
OMBELICO è una dedica
alla vita che arriva dall’oscuro e si dirama verso la luce nascosta
di nuovi misteri.
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Arianna Giorgi, OMBELICO, 2011 |