Habitat#2|Concetta Modica Sophie Usunier
7 luglio Grotta del Timponello Scicli
Devo dire che, a parte la
sorpresa di verificare come la bellezza può essere un’aggressione, sono alcuni
giorni ormai che siamo qui, tra Scicli, Noto e il circondario, e ogni volta uno
pensa di aver visto la cosa più bella, in realtà la cosa più bella non l’ha
ancora vista. Andiamo nei posti
dicendo non può essere più bello di così e uno arriva e resta senza parole e si
capisce perché, come diceva Baudelaire, il Sud non è una regione una porzione
geografica, ma è un desiderio.
Non è un caso che sforni tanti
artisti il sud del mondo, non necessariamente il sud dell’Italia, e questo è
uno degli attraversamenti di questa piccola introduzione.
Personalmente, ritengo che l’arte
non ha dubbi. Sulla parola dubbio, sono tutti sempre molto contenti "si si ci
sono sempre dubbi" "chi può avere certezze?", ma io sono fondamentalmente
convinta, e come tutti quelli convinti, quindi certa di sbagliare, che se c’è una cosa
di cui l’arte è proprietaria, è che non ha dubbi.
L’arte non è una cosa facile, è
una cosa difficilissima, quelli che dicono non capisco l’arte per me sono degni
di grande rispetto.
A volte lo dicono con ironia...
Invece il pudore di avere di fronte qualcosa che non si capisce, quello che non si capisce non è un nemico, quello che non si capisce è un pretesto: il pretesto per cambiare opinione, per vedere un’altra porzione di mondo, per avvicinarsi a qualcosa che uno ha sempre saputo, ma che non sa di sapere.
L’arte è una cosa molto difficile
perché si misura con due cose che hanno a che fare con gli esseri umani, che
sono: l’infinito e la morte, le uniche due cose di cui noi non potremo mai fare
esperienza.
Noi non potremo fare esperienza
mai della nostra propria morte.
Questa è una regione, come spesso succede al sud del mondo, dove la morte, spesso non è qualcosa di ostile, è qualcosa che vive nelle case,
nei ricordi, nella presenza sistematica, nei nomi dei figli che nascono e che
hanno il nome dei parenti che li hanno preceduti, perché la morte non è
qualcosa che viene vissuta come qualcosa di cattivo, è qualcosa che c’è, e
questo atteggiamento sulla morte è qualcosa di molto rivoluzionario..perché la morte non ha fatto sempre paura, c’è un fantastico volume
di Philippe Ariès “La storia della
morte in occidente”, per cui noi vediamo come nel corso dei secoli cambia il
rapporto degli umani con la morte.
Con la morte per moltissimi anni si è convissuti, con una
morte abituale una morte domestica,
si facevano tanti figli perché molti morivano, nello stesso posto dove uno nasceva, moriva, e nello stesso
tavolo della cucina dove venivano dati al mondo i figli, era il posto dove si
collocavano le persone anziane e morte e si andava al cimitero.
La cosa fantastica del rapporto positivo con la morte è la differenza dei cimiteri che ci sono in giro per il mondo. In Spagna come in Italia si va sistematicamente al cimitero, si puliscono le lapidi, si scambiavano anche consigli sui prodotti da usare per far venire la lapide più brillante, si puliscono le immmagini. Spesso diventano anche dei luoghi dove i parenti più stretti portano dei piccoli segni della vita della persona che è seppellita. Facendo un giro in un cimitero del sud è bellisimo vedere che in alcuni posti c’è la sciarpa della squadra del cuore, il cappellino che uno usava sempre, una cravatta, dei fiori, per cui questo tenere in vita qualcosa che quindi non è finito, perché qualcosa finisce quando finisce la memoria di quella cosa.
L’altra cosa di cui non possiamo
fare esperienza è l’infinito.
Ci misuriamo sistematicamente con
un’idea che non possiamo contenere, la nostra idea di infinito è una misura che
corrisponde alla cosa più grande che possiamo pensare, ma la cosa più grande
che possiamo pensare non è infinita, ce ne una ancora più grande, un po’ come
il gioco che fanno a volte i bambini in cui vince quello che dice in numero più
alto, non si finisce mai, perché basta dire più uno che c’è sempre un più uno.
L’attraversamento di queste due
possibilità probabilmente ha dato origine all’idea di arte. Quando sono stata
invitata, ho deciso quasi immediatamente di portare un film, un film
semplicissimo, un film documentario e raramente i film documentari sull’arte
non sono noiosi, questo ha la caratteristica di non essere noioso perché il
protagonita è lo stesso artista che ha voluto questo film, ed è soprattutto la
ripresa di un’operazione artistica di questo artista.
Quest'artista che è una persona molto
fortunata (a volte quello che ci sembra una sfiga invece improvvisamente è una
fortuna) lavorava come grafico, non riusciva a fare l’artista, ci vogliono dei
soldi per fare l’artista e una serie di strumenti, e lui uscendo dal suo studio di grafico è stato investito da
un’automobile. La persona che lo ha investito era molto ricca e per risarcirlo,
perché non aveva la patente e le solite storie, gli ha dato dei soldi e lui ha
potuto iniziare la sua attività. Ma come tutte le persone che sono coscienti di
quello che hanno avuto e di quello che hanno disseminato lui è tornato in
Brasile. La storia di questo film e lui stesso, sono brasiliani, è tornato in
Brasile e ha fatto delle ricerche su una delle discariche più grandi del mondo, ha
avvicinato alcune persone che lavoravano in questa discarica e ha costruito
delle opere d’arte che poi sono finite all’asta.
Secondo me c’è una parte in
questo film, c’è una domanda che la moglie fa a Vic Muniz e gli dice:” ma
secondo te è giusto cambiare la vita a queste persone solo per un anno?” e lui
dice:” secondo me si”, e anche io lo penso, meglio cambiare vita per un anno
che non una vita sfigata per sempre. Ho voluto portare questo film perché
secondo me è una riposta a che cos’è l’arte. Tutti dicono che cos’è l’arte non
si può dire, secondo me si può dire tranquillamente, si può dire opera per
opera, artista per artista, che cosa è l’arte per Picasso si intuisce, che cosa
è l’arte per Rubens si intuisce, la quantità di icone, di chiese, di luoghi di bellezza che circonda la
vita quotidiana, racconta sistematicamente che quella non è vita quotidiana, la
potenza di voler costruire e di voler manipolare, usare inventare in modo
visionario la bellezza, ci fa capire che è un’altra cosa.
L’artista ha un doppio ruolo
perché contemporaneamente fa esperienza per se e per gli altri e se l’arte ha
una funzione è quella che ci racconta che tutto è possibile, è la costruzione
di una realtà che non è quella abituale e che comunque non è qualcosa di
visionario, qualcosa che non si può esperire, è qualcosa di molto potente,
qualcosa che ci fa fare delle domande o ci commuove, ci da delle riposte. La
commozione è qualcosa di molto intimo ci si commuove per la bellezza, per
qualcosa che ci tocca molto da vicino, l’unico modo e l’unica precauzione da
prendere è quella di non avere pregiudizi, l’idea di avvicinarsi all’arte
pensando che uno sa che cosa sia, perché ha dei modelli, perché ha visto delle
cose, perché glielo hanno spiegato a scuola, è un modo di non vedere.
Io dico
spesso che questa è un’epoca che sta perdendo il senso perché stiamo perdendo i
sensi, e devo dire che in una realtà come questa, sopprattutto di questi giorni
che sto attraversando, i sensi sono molto attivi i sapori molto forti, la luce
è tanta, si sentono continuamente delle cose, per cui questa è ancora una
realtà, e probabilmente chi la vive non è conscio della potenza di viverci,
dove continuamente i sensi sono sollecitati e attivati, dove vedere
vuol dire vedere, sentire vuol dire sentire.
E' bellissimo
camminare e passeggiare in posti dove la gente non guarda solo il monitor del
telefonino ma dove guarda le persone, spesso le persone più anziane ci
chiedono:” ma cu si?” perché uno passa in questi vicoli davanti alle porte, per
cui c’è anche questa fantastica relazione...
Esistiamo in questi posti
come umani come persone e non attraversamenti dei non luoghi e degli spazi che
invece ci escludono. L’arte in
questo momento parla di questo, l’arte in questo momento parla di sentimenti,
di reazioni, parla di relazioni, ma non delle proprie relazioni, parla del
concetto dell’altro, della costruzione, del poter costruire, del potersi
incontrare e se c’è una cosa veramente fantastica dell’arte è che l’arte ci
sposta.
Chi vive nel mondo dell’arte, chi
opera nel mondo dell’arte, a volte sceglie, a volte è costretto a spostarsi,
costretto a svegliarsi in un altro letto che non è il proprio, costretto a
guardare da una finestra che non è quella abituale e probabilmente è tutto
questo che ci rende più propensi a guardare e vedere, perché nei momenti in cui
cominciamo a vedere, poi non possiamo più essere ciechi e a questo proposito
c’è un libro fantastico che sicuramente tutti avete letto che è cecità di
Saramago, in cui è molto forte la consapevolezza che la civiltà, la relazione,
l’economia, vivono solo se noi siamo padroni dei nostri sensi e del nostro
corpo, nel momento in cui smettiamo di essere questo non possiamo più neanche
essere civili.
Francesca Alfano Miglietti
*
Je dois dire que, au delà de la surprise de vérifier combien la beauté peut être une agression, voilà quelques jours déjà que nous sommes ici, à Scicli, Noto et ses environs, et à chaque fois, on pense avoir vu la chose la plus belle quand en réalité la chose la plus belle on ne l'a pas encore vue. On visite des lieux en se disant qu'on ne peut trouver mieux, et quand on y arrive, on reste sans parole, et on comprend pourquoi. Comme disait Baudelaire, le Sud n'est pas une région, une portion de terre, mais c'est un désir.
Ce n'est pas un hasard si le sud met au monde autant d'artistes, j'entend le sud du monde, non pas forcément le sud d'Italie, et ceci est une de mes pensées pour cette brève introduction.
Personnellement, je pense que l'art n'a pas de doute, sur le mot doute on est toujours très content de se dire "oui oui il y a toujours des doutes", "qui peut être sûr ?", mais je suis entièrement convaincue, et comme tous ceux qui sont convaincus, c'est à dire certaine de me tromper, que si il y a bien une chose que possède l'art c'est qu'il n'a pas de doute.
L'art n'est pas facile à comprendre, c'est même très difficile, ceux qui disent "je ne comprends pas l'art", selon moi, sont dignes d'un grand respect.
Quelques fois, c'est dit avec ironie...
Pourtant...la pudeur d'avoir devant soi quelque chose d'incompréhensible qui ne doit pas être traité en ennemi, mais doit devenir un prétexte: le prétexte pour changer d'opinion, pour voir une autre part du monde, pour s'approcher de quelque chose qu'on a toujours su, mais qu'on ne sait pas qu'on sait.
L'art est difficile parce qu'il se mesure à deux choses qui ont à voir avec l'être humain et qui sont: l'infini et la mort, les deux seules choses dont on ne pourra jamais faire l'expérience.
Nous ne pourrons jamais faire l'expérience de notre propre mort. Cette région, comme cela arrive souvent au sud du monde, est une région du monde où souvent la mort n'est pas considérée comme hostile, elle est présente dans les maisons, dans les souvenirs, systématiquement, dans les prénoms des enfants qui naissent et qui portent le prénom des ancêtres, parce que la mort n'est pas vécue comme quelque chose de mauvais, c'est quelque chose qui est, et cette attitude sur la mort est de très révolutionnaire... parce que la mort n'a pas toujours fait peur, Philippe Ariès a écrit un livre fantastique "Essais sur l’histoire de la mort en occident", où nous voyons comment au cours des siècles le rapport des êtres humains avec la mort change.
Pendant de très nombreuses années, on a vécu avec une mort ordinaire, une mort domestique, on faisait beaucoup d'enfants parce nombre d'entre-eux mouraient; et là où on naissait, on mourait, et sur la même table de cuisine où souvent venaient au monde les enfants, c'était aussi l'endroit où se trouvaient les personnes anciennes, puis mortes, et on allait alors au cimetière.
Ce qui est fantastique dans le rapport positif avec la mort est la différence entre les cimetières qu'il y a à travers le monde. En Espagne comme en Italie on va systématiquement au cimetière, on nettoie les tombes, on échange des conseils sur les produits utilisés afin que la tombe soit plus brillante, on nettoie les images. Très souvent, cela devient aussi des endroits où les plus proches parents portent quelques petits signes de vie de la personne enterrée. Quand on fait un tour dans les cimetières du sud, c'est beau de voir qu'à certains endroits il y a l'écharpe de l'équipe préférée, le chapeau qu'il avait l'habitude de porter, une cravate, des fleurs, afin de tenir en vie quelque chose qui n'est donc pas finie, parce quelque chose finit quand finit la mémoire de cette chose.
L'autre chose dont on ne peut faire l'expérience c'est l'infini.
On se mesure automatiquement avec une idée qu'on ne peut pas contenir. Notre idée d'infini est une mesure qui correspond à la chose la plus grande à laquelle nous puissions penser, mais la chose la plus grande à laquelle nous pensons n'est pas infinie, il y en a toujours une plus grande, un peu comme le jeu que font quelque fois les enfants où celui qui gagnent est celui qui dit le numéro plus élevé, on n'en finit jamais, parce qu'il suffit d'ajouter "plus un", et il y a toujours un "plus un".
Le passage de ces deux possibilités probablement est à l'origine de l'idée d'art.
Quand on m'a invitée, j'ai décidé presque aussitôt d'amener un film, un film très simple, un film documentaire, souvent les films documentaires sur l'art sont ennuyeux, mais celui-ci a la caractéristique de ne pas être ennuyeux parce que le protagoniste est l'artiste celui même qui a voulu faire le film, et c'est surtout le tournage d'une opération artistique de cet artistique.
Cet artiste qui est une personne très chanceuse (quelque fois ce qui nous semble être de la malchance est au contraire à l'improviste une chance) travaillait comme graphiste, il ne réussissait pas à faire de l'art, il faut de l'argent pour faire de l'art et une série d'instruments, et un jour, en sortant de son studio de graphisme il se fait renverser par une voiture.
La personne qui conduisait se trouvait être très riche et pour le dédommager, ou parce qu'il n'avait pas le permis de conduire ou pour autres choses (toujours les mêmes histoires), il lui a donné de l'argent, ainsi il a pu commencer son activité d'artiste, mais comme toutes les personnes qui sont conscientes de ce qu'elles ont eu et de ce qu'elles ont disséminé, il est revenu au Brésil.
L'histoire de ce film et lui-même sont brésiliens, il est revenu au Brésil et il a fait des recherches sur une des décharges les plus grandes du monde, il a rencontré certaines personnes qui y travaillaient et il a construit des oeuvres d'art qui ont été ensuite vendues aux enchères.
Il y a un passage dans ce film où sa femme lui pose une question: "mais d'après toi c'est juste de changer la vie de ces personnes seulement pendant un an?", à cela il lui a répondu: "d'après moi, oui", et moi aussi je le pense, il vaut mieux changer de vie pendant un an que de mener une vie misérable toute la vie.
J'ai voulu apporter ce film parce que, selon moi, ce film est une réponse à ce qu'est l'art. Tout le monde dit qu'on ne peut pas dire ce qu'est l'art. En ce qui me concerne, on peut le dire tranquillement. On peut le dire oeuvre par oeuvre, artiste par artiste, on devine ce qu'est l'art pour Picasso, on devine ce qu'est l'art pour Rubens. La quantité d'icônes, d'églises, de lieux magnifiques qui environnent la vie quotidienne raconte systématiquement que tout cela n'est pas la vie quotidienne, la puissance de vouloir construire et manipuler, utiliser, inventer la beauté de manière visionnaire, tout cela nous fait comprendre autre chose.
L'artiste a un rôle double parce qu'il fait l'expérience pour lui et pour les autres. Et si l'art a une fonction, c'est bien celle de nous raconter que tout est possible. C'est la construction d'une réalité qui n'est pas celle de tous les jours, mais qui n'est pas non plus quelque chose de visionnaire, quelque chose qui ne peut s'expérimenter. C'est quelque chose de très puissant, quelque chose qui nous questionne ou qui nous émeut, qui nous donne des réponses.
Etre ému est quelque chose de très intime, on s'émeut pour la beauté, pour quelque chose qui nous touche de très près. L'unique manière d'être et la seule précaution à prendre c'est celle de ne pas avoir de préjugés.
L'idée de se rapprocher de l'art avec l'idée de déjà connaître, parce qu'on a des modèles, on a vu des choses, on nous l'a expliqué à l'école, est un manière de ne pas voir.
Je dis souvent que c'est une époque qui est en train de perdre le sens parce que nous sommes en train de perdre les sens.
Et je dois dire que dans une réalité comme celle ci, surtout ces jours-ci, les sens sont très actifs, les saveurs sont très fortes, la lumière l'est tout autant. Nos sens sont en permanence stimulés, et donc c'est encore une réalité, et probablement celui qui la vit quotidiennement n'en est pas conscient, où les sens sont continuellement sollicités et actifs, où voir veut dire voir, sentir veut dire sentir.
C'est merveilleux de se promener dans des endroits où les gens ne fixent pas seulement l'écran de leur portable, mais où ils regardent les personnes. Souvent les personnes plus âgées nous demandent:
" ma cu si?" (mais qui es tu? en sicilien dans le texte) parce qu'il arrive qu'on passe dans des petites ruelles devant les portes et donc, il existe encore cette fabuleuse relation à l'autre.
Nous nous sentons humains dans ces lieux, nous nous sentons être des personnes, nous ne sommes pas en train de traverser des non-lieux et des endroits qui au contraire nous excluent.
L'art en ce moment parle de cela, il parle en ce moment de sentiments, de réactions, il parle de relations, non pas des relations personnelles, il parle du concept de l'autre, de la construction, de la possibilité de construire, de la possibilité de se rencontrer, et si il y a une chose vraiment fantastique de l'art, c'est que l'art nous déplace.
Celui qui fait partie du monde de l'art, qui y travaille, a quelques fois le choix, ou est quelques fois obligé de se déplacer, de se réveiller dans un autre lit qui n'est pas le sien, de regarder par une fenêtre qui n'est la sienne. Et probablement c'est tout cela qui nous rend plus disposés à regarder et à voir, parce que dans les moments où nous commençons à voir,nous ne pouvons plus ensuite être aveugles.
A ce propos, il y a un très beau livre que vous avez sûrement tous lu qui s'intitule "l'aveuglement" de José Saramago, dans lequel il insiste sur le fait d'être conscient que la civilisation, la relation, l'économie existent seulement si nous sommes maîtres de nos sens et de notre corps.
Du moment où nous arrêtons de l'être, nous ne pouvons plus être civils.