L'età del dubbio/l'âge du doute

Concetta Modica e Sophie Usunier sono state invitate in residenza in Sicilia per un mese. Confessioni, paure, dibattiti tra le due artiste su L'ETÀ DEL DUBBIO che si è concluso in una mostra.

“Il lavoro si baserà sulla nostra convivenza, sulla condivisione degli spazi, sul nostro modo di lavorare sia insieme che individualmente, su come ci relazioneremo con la città. Una di noi conosce la Sicilia da sempre e l’altra la vede per la prima volta, gli occhi di ognuno faranno da filtro per l’altra”.

Le artiste hanno invitato per l'occasione Francesca Alfano Miglietti, Luigi Fassi, Francesco Lauretta, Francesco Lucifora, Don Antonio Sparacino.

* Concetta Modica et Sophie Usunier ont été invitées en résidence qu'elles ont intitulée L'ETÀ DEL DUBBIO (l’âge du doute). Confession, peurs, débats entre les deux artistes sur ce thème qui s'est conclu par une exposition.


“Le travail se basera sur notre cohabitation, sur le partage du lieu, sur notre mode de travailler que ce soit ensemble ou individuellement, sur notre relation à la ville de Sicily. Une d’entre nous connait Scicli depuis toujours, et l’autre la voit pour la première fois, Nos propres yeux serviront de filtre à l’autre”.


Les artistes ont invité pour l’occasion Francesca Alfano Miglietti, Luigi Fassi, Francesco Lauretta, Francesco Lucifora, don Antonio Sparacino.




domenica 11 agosto 2013

Francesco Lauretta





















Habitat#2|Concetta Modica Sophie Usunier
9 luglio  giardino di San Giovanni

(*en cours de traduction)

Vaso Di Fiori
Alcuni forse sanno che i miei genitori non hanno mai visto una mia mostra, e forse non ne vedranno mai, di sicuro non mio padre, e neanche mia madre… naturalmente, se ci penso adesso. Eppure mia madre ha da sempre voluto che io  le facessi un quadro, un bel quadro da mettere in cucina o in corridoio. E per anni mi ripeteva questa cosa, Un quadro, magari un bel vaso con fiori, e io ci scherzavo su:” Mamma, un vaso puoi sempre metterlo in cucina e con dei bei fiori che siano sempre freschi e più belli di quelli dipinti, puoi anche metterlo in corridoio e poi mica sono bravo come Jean Baptiste Siméon Chardin o Odilon Redon io!”  Niente, tanto ha insistito che una volta mi sono armato di pazienza e ho dipinto un quadretto, piccolo. Solo che non era un vaso con fiori, tutt’altro.

Vivevo a Milano all’epoca. Avevo trovato una vecchia e logora foto di me e il  mio gemello Michele di quando eravamo bambini, non so quanti anni avevamo, tre, quattro? Non so, ma ricordo benissimo quei momenti, noi vestiti da Zorro –ah, ricordo il cappello di carta, bellissimo, nero con una striscia rossa, fantastico!- con una bella mazza di plastica rossa rigata di bianco in mano, al posto della spada. Quante mazzate ci siamo dati, quante anche ai poveri amichetti di allora, ci ammazzavamo tutti, appassionatamente. La foto era stata fatta in uno studio fotografico e aveva una scenografia curiosa, tipica degli anni sessanta in Sicilia e nei paesi di un altro mondo –sono convinto di essere nato e vissuto in un altro mondo, in quegli anni sessanta così lontani dagli anni sessanta cantati dalla mitologia corrente. E con pazienza mi sono messo al lavoro. Un lavoro minuzioso, prima disegnando, poi colorando ho terminato il quadro nei tempi vuoti di altri lavori. Così quando sono andato in vacanza, d’estate, ho fatto la sorpresa: “Mamma ho un quadretto per te, spero che finalmente tu sia contenta di questa cosa”. Fu una delusione. Rimase in silenzio. Disse solo grazie ma poi lo nascose. Dovetti cercarlo per farlo intelaiare –lo avevo portato arrotolato, in aereo- e poi far  metter su cornice. Con mio fratello andammo da un falegname e dovetti spiegare con pazienza infinita cosa volevo avere, un telaio, dio mio, un telaio per un piccolo quadro non chiedo l’impossibile ma laggiù, in fondo al mondo i falegnami non sanno cosa sono i telai, non sanno nulla di quadri, di come impostare il legno intorno a queste cose. Difatti ripassava la tela tra le mani come avesse un fastidio ma infine si decise :” E va bene, faremo questa cosa che chiede!” Poi, avuta la tela intelaiata, l’ho portata da un corniciaio, a Pozzallo. Con 20 euro, se non ricordo male, alla fine ottenni il quadretto finito, pronto da appendere o in cucina o in corridoio. Quando tornò a casa il quadro con i suoi orpelli giusti, sparì, di nuovo. Solo dopo alcuni mesi, ormai dimenticatomi di esso, lo ritrovai nel corridoio tronco, vicino alla piccola cabina elettrica, il secondo ingresso, in breve: nascosto. Ho cercato di capire il senso di quel gesto di mia madre. Ma se ricorderò lo farò più tardi. Voglio tornare al quadretto. Il quadro è un piccolo gioiello di svolgimento sul tema, tecnicamente (quasi) impeccabile, dipinto bene cioè. Ho anche dipinto la carta della foto, ingiallita, un po’ stropicciata, bucata e ammuffita qua e là. Rispetto alla foto ho solo dato una piega al tappeto che adorna il pavimento insolita come a creare un senso di vertigine alla scena, come a dare una vertigine leggera alla resa immobile della posa dei due bimbi dipinti, quasi come fossero due bambole, giocattoli. I due visi sono strepitosi: Monello e furbetto quello del mio gemello dagli occhi azzurri; Il mio subito, lo sguardo intimidito, arreso. Adesso, confesso, quando si dipinge il pittore è ‘vanesio’, e non è un caso che intorno a questa figura siano sorte leggende: Stupido come un pittore; Stupito come un pittore… Così quando lo portai dal falegname pensavo, Adesso mi dirà che bello, l’ha fatto, lei? Complimenti! ecc. Ma non disse nulla, anzi sembrava tenere in mano qualcosa di rovente e comunque per lui incomprensibile. Anche quando lo mostrai a mia madre pensai: Adesso mi dirà che bello, i miei figli gemelli, che belli! Insomma avevo ostentato scioccamente quanto ostentano molti in quei casi, e cioè nel momento in cui il talento si soprassiede sul cervello qualcosa sfugge, inganna. Da noi, in Sicilia siamo pieni di talenti, molti dipingono e bene, anzi benissimo. Qui a Scicli c’è una scuola talentuosa, sapete, maestri di pastelli e non solo poi diffusasi nel territorio fino a varcare i confini dell’isola. I più audaci poi hanno, come dire, tracciato questa abilità adottandola agli ingranaggi contemporanei ma è risaputo che, una volta capito come risolvere l’ingresso di questa manovalanza, spunta il vanesio, ostentato, di nuovo e ingrassato. Un noto artista ad una sua personale, con orgoglio, mi disse: ma hai visto bene i miei quadri, hai visto da vicino come sono fatti? Avevo visto, ahimè. La tecnica è un processo non dissimile dal pensare, è anzi un pensare in atto, un pensiero che si estende nel momento in cui l’artista sposta i colori. Il narratore o il poeta sposta parole, compone una sintassi uno scrittore, un sonetto un poeta o altro, e la materia sono le parole, una storia se vuole raccontare qualcosa, un saggio se vuole approfondire un tema, eccetera. Ebbene un pittore pensa con i suoi strumenti. Scegliere un colore anziché un altro, fare una velatura o spatolare è un modo di pensare, di utilizzare materia, quindi l’atto di dipingere diviene nel contempo un atto filosofico sulla materia della pittura. Il problema semmai è che quanto oggi si dipinge, e come, è arduo, semplicemente perché se intendiamo la pittura seguendo il modello vasariano questa non ha scampo, non ha senso dipingere nulla dopo lo svolgimento della sua storia, dopo le avanguardie prima, i vari Pollock, il taglio di Fontana, in quadrato nero su fondo bianco di Malevich, sembra ridicolo dipingere paesaggi sciclitani, cieli stellati, fichi d’india, e difatti lo è. Ed è ancora più ridicolo dipingere o fare pastelli come a misurare le proprie abilità tecniche che spesso si riducono a sterili tentativi, patetici e profondamente ridicoli. Il problema è che il talento, la tecnica è subdola. Sono cresciuto confrontandomi fin da piccolo con i miei compagnetti di gioco solo che i nostri giochi erano, come dire, rischiosi. In via IV Novembre esercitavamo le nostre capacità creative disegnando con pezzi di gesso sull’asfalto. Quello era il nostro spazio bianco, il foglio –nero in quel caso- dove mettevamo a dura prova le nostre capacità e immaginazione. Crebbero dei mostri. A 11 anni vidi Il Sogno del cavaliere e il San Giorgio e il drago dipinti da Salvatore, interpretazioni o copie fedelissime di Raffaello che mi fecero mancare il fiato. Ricordo ancora bene due sere d’inverno, succedeva che uno chiamava l’altro quando aveva qualcosa di pronto e lui una volta mi mostrò due ritratti di Antonello da Messina. Una seconda volta mi mostrò un dipinto di una battaglia. Non credevo ai miei occhi, non era possibile, era inammissibile che un bambino/ragazzino di quella età potesse fare tanto. E fu in quei giorni che decisi che non avrei dipinto, ma solo disegnato. 

Recentemente ho letto Il Soccombente di Thomas Bernard, non credo fossimo la stessa cosa, non a tanto la follia ma sicuro qualcosa c’è di quella follia in noi tre, o c’era. Il problema è che probabilmente il “nostro” soccombente è stato non Wertheimer ma Gould, o forse siamo stati tutt’e tre a soccombere a qualcosa che ritenevamo ci appartenesse e che invece s’è mostrata, col tempo, devastante per la nostra vita: l’Arte. Adesso se ci penso, spolverando nei ricordi credo che un W. sia esistito tra noi, anzi più di uno ma non posso svelarne i nomi, non le storie. Sicuramente la storia si ripete sempre, e con tutta la sua potenza nelle nostre singole esistenze con i suoi drammi, i sogni, i successi e le sconfitte. La follia è strisciante e potente.




  
Ridicolo è questo quadro allora, il dubbio è se nel mio racconto breve abbia parlato di tecnica o, forse, che ogni quadro, per quanto bello possa sembrare, può contenere i sintomi di un fallimento totale e di una libertà mai davvero raggiunta proprio grazie alla detestabile perizia tecnica, ahimè, così difficile da mettere da parte e cancellare oggi, in un momento in cui la pittura di tutto ha bisogno eccetto che di bravura, o sbavatura, tecnica. 
Francesco Lauretta



*

Vase de fleurs

Certains savent peut-être que mes parents n'ont jamais vu une de mes expositions, et peut-être n'en verront-ils jamais, en tout cas, certainement pas mon père, et certainement pas ma mère non plus...forcément, maintenant que j'y pense.

Et pourtant ma mère a toujours voulu que je lui peigne un tableau, un beau tableau à accrocher dans la cuisine ou dans le couloir. Pendant des années, elle me répétait: "un tableau, pourquoi pas un beau vase avec des fleurs" et moi je lui répondait en me moquant: "Maman, un vase, tu peux toujours en mettre un dans la cuisine et avec de belles fleurs toujours fraîches et plus belles que celles qui sont peintes, tu peux même le mettre dans le couloir, en plus je ne suis pas aussi doué que Jean-Baptiste Siméon Chardin ou Odilon Redon, moi!"
Rien à faire, elle a tellement insisté qu'un jour je me suis armé de patience et j'ai peint un tableau, de petite dimension. Seulement ce n'était pas un vase avec des fleurs, loin de là.

Je vivais à Milan à l'époque. J'avais trouvé une vieille photo usée de moi et de mon frère jumeau Michele quand nous étions enfants. Je ne sais pas quel âge nous avions, trois, quatre ans? je ne sais pas, mais je me rappelle très bien ces instants, quand nous nous étions habillés en Zorro - ah, je me rappelle le chapeau de papier, superbe, noir avec une bande rouge, fantastique!- avec une belle massue (it.:mazzaen plastique rouge rayé de blanc à la main, en guise d'épée. Combien de coups de massue (it.:mazzate) nous nous sommes donnés, combien en ont reçus nos pauvres compagnons de l'époque, on s'entre-tuait tous(it.: ammazzavamo), avec passion.

La photo avait été prise dans un studio et avait une scénographie curieuse, typique des années 60 en Sicile et dans les pays d'un autre monde -je suis convaincu d'être né et d'avoir vécu dans un autre monde, dans ces années 60 tellement loin des années 70 célébrées par la mythologie actuelle. Et patiemment, je me suis mis au travail. Un travail minutieux, d'abord par le dessin, puis par la peinture, j'ai terminé ce tableau dans les heures creuses, entre deux autres peintures.


Et ainsi lorsque je suis arrivé pour les vacances, l'été, je lui ai fait la surprise: "Maman j'ai un petit tableau pour toi, j'espère que tu en sera enfin contente". Ce fut une déception. Elle resta silencieuse. Elle me remercia mais par la suite elle le cacha. Je dû le rechercher pour le faire tendre sur un châssis -j'avais roulé et transporté la toile par avion- et puis le faire encadrer. Avec mon frère, nous allâmes chez un menuisier et nous dûmes lui expliquer avec une patience infinie ce que nous voulions. Un châssis, mon dieu, un châssis pour un petit tableau, je ne demande pas l'impossible, mais au sud, au bout du monde les menuisiers ne savent pas ce que sont les châssis, ils n'y connaissent rien en peintures, de la manière d'arranger le bois autour de ces choses.

De fait, la toile passait de main en main comme si cela provoquait une gêne, mais finalement il se décida: "bon d'accord, je ferai ce que vous me demandez!"
Plus tard, une fois la toile montée sur châssis, je la portai chez un encadreur à Pozzallo. Pour 20 euros,  je me rappelle bien, j'obtins enfin le tableau fini, prêt à être accroché soit dans la cuisine soit dans le couloir.
Quand je revins à la maison le tableau avec tous ses oripeaux avait de nouveau disparu.Seulement quelques mois plus tard,au point où je l'avais oublié, je le retrouvai au bout du couloir, près du compteur électrique, la deuxième entrée, bref: caché. J'ai essayé de comprendre le sens de ce geste maternel. Mais je l'expliquerai plus tard, si je m'en souviens. Je veux reparler du petit tableau. Le tableau un petit bijou de mise en scène sur thème, techniquement (presque) impeccable, c'est-à-dire bien peint. J'ai même peint le papier de la photo, jauni, un peu froissé, troué et moisi par endroits.
Par rapport à la photo j'ai juste ajouté un pli au tapis qui orne le sol, un pli insolite comme pour créer une impression de vertige à la scène, comme pour donner un léger déséquilibre à cette pose immobile de ces deux enfants peints, presque comme des poupées, des jouets.
Les deux visages sont extraordinaires: celui de mon frère jumeau aux yeux bleus polisson et malicieux; le mien subi, le regard intimidé, rendu. Maintenant, je le confesse, quand il peint, le peintre est 'fat', et ce n'est pas par hasard qu'il soit né des légendes autour de cette figure: Stupide (it:stupido) comme un peintre, étonné (it:stupito)comme un peintre...
C'est ainsi que quand j'ai amené le tableau chez le menuisier, je pensais qu'il me dirait "qu'il est beau, c'est vous qui l'avez peint? Compliments!" etc. Mais il ne dit rien, il semblait plutôt tenir en main quelque chose de brulant, et pour lui de toute façon incompréhensible.

Quand je le montrai à ma mère aussi, j'ai pensé: Maintenant elle me dira qu'il est beau, mes jumeaux, qu'ils sont beaux! Bref, j'avais montré mon tableau avec ostentation et aveuglement comme beaucoup le font dans ces cas là, c'est-à-dire que dès que le talent s'assoit sur la pensée, quelque chose échappe, trompe.

Anche quando lo mostrai a mia madre pensai: Adesso mi dirà che bello, i miei figli gemelli, che belli! Insomma avevo ostentato scioccamente quanto ostentano molti in quei casi, e cioè nel momento in cui il talento si soprassiede sul cervello qualcosa sfugge, inganna. 

Chez nous, en Sicile, il y a énormément d'artistes talentueux, beaucoup peignent, et peignent bien, voire très bien. Ici à Scicli, il y a une école de talents, le savez vous, maîtres du pastel, entre autre, qui s'est diffusée sur le territoire jusqu'à franchir les frontières de l'île.

Da noi, in Sicilia siamo pieni di talenti, molti dipingono e bene, anzi benissimo. Qui a Scicli c’è una scuola talentuosa, sapete, maestri di pastelli e non solo poi diffusasi nel territorio fino a varcare i confini dell’isola. 

Les plus audacieux ont, comment dire, travaillé cette habilité en l'adoptant aux engrenages contemporains mais il est reconnu qu'une fois que l'on comprend comment résoudre la clé de ces manœuvres, surgit le fat, fier de nouveau, et engraissé.

I più audaci poi hanno, come dire, tracciato questa abilità adottandola agli ingranaggi contemporanei ma è risaputo che, una volta capito come risolvere l’ingresso di questa manovalanza, spunta il vanesio, ostentato, di nuovo e ingrassato. 

Un artiste connu, lors de son exposition personnelle, me dit avec orgueil: "mais tu as bien regardé mes tableaux, tu a vu de plus près comment ils sont peints?" Je l'avais vu, hélas. La technique est un procédé qui ne va pas sans la pensée, qui plus est une pensée en cours, une pensée qui grandit au moment où l'artiste déplace les couleurs. Le narrateur ou le poète déplace les paroles, l'écrivain compose une syntaxe, le poète un sonnet ou autre chose, et la matière est la parole, une histoire se doit de raconter quelque chose, un essai se doit d'approfondir un thème, etc. 

Un noto artista ad una sua personale, con orgoglio, mi disse: ma hai visto bene i miei quadri, hai visto da vicino come sono fatti? Avevo visto, ahimè. 
La tecnica è un processo non dissimile dal pensare, è anzi un pensare in atto, un pensiero che si estende nel momento in cui l’artista sposta i colori. Il narratore o il poeta sposta parole, compone una sintassi uno scrittore, un sonetto un poeta o altro, e la materia sono le parole, una storia se vuole raccontare qualcosa, un saggio se vuole approfondire un tema, eccetera. 

Et bien un peintre pense avec ses instruments. Choisir une couleur plutôt qu'une autre, peindre une vellature ou peindre au couteau est un mode de penser, d'utiliser la matière, donc l'acte de peindre devient en même temps un acte philosophique sur la matière de la peinture. 
Le problème, tout au plus, c'est la grande difficulté de peindre aujourd'hui, et comment, simplement parce que si nous concevons la peinture selon le modèle de Vasari il n'y a pas d'issue,  il n'y aucun sens de peindre après l'essor de son histoire. Après les avant-gardes en premier lieu, les divers Pollock, la fente de Fontana, le carré noir sur fond blanc de Malevitch, il semble ridicule de peindre des paysages sciclitans, des ciels étoilés, des figues de barbarie, et en fait oui, c'est ridicule.

Il problema semmai è che quanto oggi si dipinge, e come, è arduo, semplicemente perché se intendiamo la pittura seguendo il modello vasariano questa non ha scampo, non ha senso dipingere nulla dopo lo svolgimento della sua storia. 
Dopo le avanguardie prima, i vari Pollock, il taglio di Fontana, in quadrato nero su fondo bianco di Malevich, sembra ridicolo dipingere paesaggi sciclitani, cieli stellati, fichi d’india, e difatti lo è. 

Et c'est encore plus ridicule de peindre ou faire des pastels pour mesurer ses propres capacités techniques qui souvent se réduisent à des tentaives stériles, pathétiques et profondément ridicules. Le problème est que le talent, la technique, est insidieux. 
J'ai grandi en me confrontant depuis mon enfance à mes compagnons de jeu, seulement nos jeux étaient, comment dire, risqués.

Ed è ancora più ridicolo dipingere o fare pastelli come a misurare le proprie abilità tecniche che spesso si riducono a sterili tentativi, patetici e profondamente ridicoli. Il problema è che il talento, la tecnica è subdola. 
Sono cresciuto confrontandomi fin da piccolo con i miei compagnetti di gioco solo che i nostri giochi erano, come dire, rischiosi. 

À via IV Novembre nous exercions nos capacités créatives en dessinant avec des morceaux de craies sur la chaussée.
C'était notre espace blanc, la feuille - noire dans ce cas- où nous mettions à dure épreuve nos capacités et notre imagination.
des monstres/prodiges grandirent. À 11 ans, je vis 'Le rêve du cavalier' et le 'San Giorgio et le dragon' de Salvatore, interprétations ou copies très fidèles de Raphael qui me coupèrent le souffle.
Je me rappelle encore bien de deux soirs d'hiver,  il arrivait que l'un appelait l'autre quand il avait quelque chose de prêt et lui un jour me montra deux portraits de Antonello da Messina.

Crebbero dei mostri. A 11 anni vidi Il Sogno del cavaliere e il San Giorgio e il drago dipinti da Salvatore, interpretazioni o copie fedelissime di Raffaello che mi fecero mancare il fiato. 
Ricordo ancora bene due sere d’inverno, succedeva che uno chiamava l’altro quando aveva qualcosa di pronto e lui una volta mi mostrò due ritratti di Antonello da Messina. 

La deuxième fois, il me montra une peinture d'une bataille. Je n'en croyais pas mes yeux, ce n'était pas possible,c'était inadmissible qu'un enfant/jeune garçon de cet âge puisse faire autant. Et ce fut dans ces moments-là que je décidai de ne plus peindre, mais seulement dessiner.
Récemment, j'ai lu 'Le Naufragé' de Thomas Bernard, je ne crois pas que nous étions pareils, non pas tellement à la folie mais sûrement il y a quelque chose de cette folie dans nous trois, ou il y avait.

Una seconda volta mi mostrò un dipinto di una battaglia. Non credevo ai miei occhi, non era possibile, era inammissibile che un bambino/ragazzino di quella età potesse fare tanto. E fu in quei giorni che decisi che non avrei dipinto, ma solo disegnato. 


Recentemente ho letto Il Soccombente di Thomas Bernard, non credo fossimo la stessa cosa, non a tanto la follia ma sicuro qualcosa c’è di quella follia in noi tre, o c’era. 


Le problème est que probablement 'notre' naufragé n'a pas été Wertheimer mais Gould, ou peut-être avons nous été tous les trois à succomber à quelque chose que nous pensions nous appartenir et qui au contraire avec le temps s'est démontré dévastante pour notre vie: l'Art.


Il problema è che probabilmente il “nostro” soccombente è stato non Wertheimer ma Gould, o forse siamo stati tutt’e tre a soccombere a qualcosa che ritenevamo ci appartenesse e che invece s’è mostrata, col tempo, devastante per la nostra vita: l’Arte. 



Maintenant si j'y pense, en dépoussiérant mes souvenirs je crois qu'un W. ait existé entre nous, voire plus d'un mais je ne peux en dévoiler les noms, ni les histoires. Certainement l'histoire se répète toujours, et avec toute sa puissance dans nos propres existences avec ses drames, les rêves, les succès et les défaites. La folie est sournoise et puissante.



Adesso se ci penso, spolverando nei ricordi credo che un W. sia esistito tra noi, anzi più di uno ma non posso svelarne i nomi, non le storie. 

Sicuramente la storia si ripete sempre, e con tutta la sua potenza nelle nostre singole esistenze con i suoi drammi, i sogni, i successi e le sconfitte. La follia è strisciante e potente.



Ce tableau est ridicule alors. Le doute est si dans mon bref récit, j'ai parlé de technique ou, peut-être, que chaque cadre, pour autant qu'il peut sembler beau , peut contenir les symptômes d'un échec total et d'une liberté jamais vraiment rejointe justement grâce à la détestable expertise technique, hélas tellement difficile de laisser de côté et effacer aujourd'hui, à un moment où la peinture a besoin de tout sauf de la bravoure, ou 
de bavure, technique.

Ridicolo è questo quadro allora. il dubbio è se nel mio racconto breve abbia parlato di tecnica o, forse, che ogni quadro, per quanto bello possa sembrare, può contenere i sintomi di un fallimento totale e di una libertà mai davvero raggiunta proprio grazie alla detestabile perizia tecnica, ahimè, così difficile da mettere da parte e cancellare oggi, in un momento in cui la pittura di tutto ha bisogno eccetto che di bravura, o sbavatura, tecnica. 
Francesco Lauretta